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Niyama

Niyama

Niyama, che cosa sono?

Niyama deriva dalla parola sanscrita yama che significa “controllo”, preceduta dalla negazione ni-, quindi viene tradotto letteralmente come “non controllo”. Gli Niyama sono anche definiti come le attitudini e i comportamenti da seguire mentre si affronta il percorso dello yoga (al contrario degli Yama che sono invece restrizioni riguardanti il comportamento e la condotta morale del praticante.

Tradizionalmente si evince che quando la pratica degli Yama, i principi etici e morali, si è stabilmente consolidata, l’aspirante potrà cominciare ad affrontare il secondo degli ashtanga, gli 8 stadi dello yoga, spiegati dagli Yoga Sutra di Patanjali, ovvero gli Niyama. In realtà questi due stadi sono molto legati tra di loro e dovrebbero essere praticati contemporaneamente.

Ganesh

Gli niyama sono cinque:

1-Saucha
2-Santosha
3-Tapas
4-Svadhyaya
5-Ishvarapranidhana

Shiva

1. Saucha (purezza)

In sanscrito saucha significa “purezza”. La purezza può essere intesa a diversi livelli secondo Patanjali. Il suo significato più immediato riguarda la pulizia del corpo fisico. Nella tradizione tantrica, il corpo è considerato come un veicolo o come il tempio dell’anima, perciò è fondamentale mantenerlo pulito e in buona salute per aiutare l’anima a compiere le sue volontà.

Come si pratica Saucha?

Il corpo fisico può essere purificato attraverso la pratica regolare di Hatha yoga e delle tecniche di Pranayama, come Sama Vritti pranayama o Nadi Shodana. E’ anche molto importante seguire una dieta salutare ed equilibrata e praticare alcune tecniche di pulizia e purificazione, le Kryia. Queste servono a tenere pulita sia la parte esterna del corpo che alcuni degli organi interni.
Solitamente queste pratiche vengono consigliate al mattino, al momento di iniziare la giornata. Se vuoi conoscere alcune di queste pratiche, leggi questo articolo.

La purezza delle azioni e dei pensieri

La purificazione del corpo fisico è una tappa fondamentale (vedi anche “Il corpo è il tuo tempio, depuralo!“) per la pratica di Saucha, tuttavia l’obbiettivo più importante per il praticante è il raggiungimento della purezza della mente e delle intenzioni.
Lo yogi, attraverso la pratica di questo Niyama, deve poter limitare ogni tendenza mentale negativa, come l’orgoglio, la rabbia, la gelosia, la disonestà o il giudizio. Tale risultato viene raggiunto coltivando l’intenzione di agire per il bene del prossimo e sviluppando sentimenti di amore incondizionato, compassione e gentilezza verso sé stessi e verso gli altri.

Saucha

2. Santosha (contentezza)

Santosha in sanscrito significa “gioia incondizionata”, “contentezza senza forma” e rappresenta uno stato di genuina felicità, indipendentemente da ciò che succede intorno a noi. Santosha consiste nell’atteggiamento di accettare e credere che ognuno riceva solamente ciò di cui ha bisogno, non importa se etichettato come “positivo” o “negativo” dalla mente.

Come si pratica Santosha?

Per mettere in pratica Santosha devi cercare di mantenere una continua consapevolezza del momento presente: in questo preciso istante infatti la mente è libera dai desideri, dalle paure per il futuro e dai rimpianti per il passato.

Coltivando Santosha potrai lasciar andare i desideri insoddisfatti, che ti intrappolano nella sofferenza, e riuscirai a percepire un sentimento di completezza. Imparerai così a godere della felicità del preciso istante che stai vivendo, qualsiasi cosa tu possegga e qualsiasi stato d’animo tu abbia.

Gli effetti di Santosha sulla mente e sul corpo

La mente può concentrarsi solo se è libera dai desideri, dai rimpianti del passato e dai pensieri sul futuro. Coltivando Santosha migliorerai quindi non soltanto la tua vita, ma renderai anche più completa la pratica delle asana e più profonda la meditazione.

Quando approfondirai maggiormente la conoscenza di questo Niyama, riuscirai a raggiungere uno stato di equanimità per cui le esperienze etichettate come “buone” e “cattive” verranno viste con maggior distacco e senza reattività da parte della mente.

Santosha ti aiuterà anche a liberarti dallo stress, dalle preoccupazioni, dall’ansia e dalla tristezza e, di conseguenza, potrai ottenere un miglioramento generale del tuo stato di salute e della vitalità del tuo organismo.

Santosha

3. Tapas (austerità)

La parola tapas deriva dalla radice sanscrita tap che significa “bruciare”. Nel contesto degli ashtanga dello yoga, Patanjali utilizza il tapas per rappresentare il calore della determinazione, il fuoco interiore, l’austerità che è necessario coltivare lungo il cammino spirituale. Questo Niyama può essere immaginato come un fuoco che brucia tutti i desideri e gli ostacoli che si incontrano lungo la via della realizzazione.

“Lo yoga è difficile da ottenere per colui che è indisciplinato”
Bhagavad Gita

Come si pratica Tapas?

Tapas può essere sia una attitudine, che una pratica. La maniera più classica per esercitare questo Niyama è “prendere un voto” imponendosi di fare o non fare qualcosa per un determinato periodo di tempo.
“Fare un Tapas” è utile per esercitare la propria forza di volontà in un’area della nostra vita che necessita di maggior attenzione e focus: il Tapas ad esempio potrà consistere in una restrizione sulla dieta (non mangiare cioccolato per un mese), nella decisione di mantenere il silenzio per un periodo di tempo (pratica chiamata mauna) oppure nel fare hatha yoga o meditare (ogni giorno per almeno trenta minuti). Qualsiasi Tapas tu decida di affrontare, ricordati che deve avere un lasso ben determinato di tempo: può anche essere lungo, ma deve sempre avere termine!

Il Tapas tuttavia non è solo una promessa, ma un voto che viene fatto all’Assoluto e deve essere mantenuto a qualsiasi costo, se si vuole progredire nel percorso spirituale dello yoga. Ti consiglio all’inizio di essere realista e di cominciare con un Tapas semplice da seguire. Poi, quando vedi che riesci a seguirlo, progressivamente aumentare la difficoltà e la lunghezza del voto.

Praticando questo Niyama, sarai in grado di sviluppare una grande fiducia nella tua forza di volontà, costruendo una maggior autostima e una incrollabile sicurezza. Nonostante ciò, è essenziale mantenere l’umiltà e la consapevolezza spirituale, sapendo che la forza di volontà che stai sviluppando non deve essere usata per servire l’ego, ma esclusivamente per renderti più determinato sulla via della ricerca spirituale.

Tapas e i maestri yoga

Swami Sivananda, grande yogi vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo, diceva che la disciplina militare è, in un certo senso, una buona pratica yoga. Un soldato ben allenato e disciplinato infatti sopprime l’orgoglio, i desideri e l’ego, esercizi utili anche per chi è sulla via spirituale.
Anche Swami Vivekananda, mistico contemporaneo a Sivananda, suggerendo la stessa idea, diceva che un bandito avrebbe potuto realizzare l’esistenza di dio più facilmente di un codardo o di un timido. Secondo lo Swami un bandito è audace e senza paura e tali caratteristiche sono importanti per intraprendere il percorso dello yoga.

Tapas

4. Svadhyaya (studio individuale)

In sanscrito sva significa “sè stessi” e dhyaya significa “studio”. Svadhyaya pertanto viene tradotto come “studio individuale”. Questo Niyama può essere essenzialmente compreso in due modi:

Come si pratica Svadhyaya?

In primo luogo lo studio individuale si riferisce alla lettura dei testi classici dello yoga, dei libri scritti dai grandi yogi del passato e del presente, al fine di comprendere a fondo la teoria che sta dietro alla pratica dello yoga. Leggendo libri di grande spessore spirituale infatti il praticante aumentata l’aspirazione a proseguire sul cammino con serietà. Inoltre può entrare in contatto con gli insegnamenti di grandi maestri che hanno raggiunto e rivelato la Verità, di cui anche lui è alla ricerca.

In secondo luogo Svadhyaya consiste nello studio e nella contemplazione della nostra vera natura. Secondo tale visione, la pratica di questo Niyama consiste nella meditazione sul Sé. Una tecnica di meditazione efficiente a questo riguardo viene descritta nell’articolo “Chi sono io? la meditazione di Ramana Maharshi”.

Svadhyaya

5. Ishvarapranidhana (abbandono verso Dio)

In sanscrito ishvara significa “Dio” o “Altissimo”, pranidhana significa “devozione continuativa” o “abbandono”, pertanto questo Niyama viene tradotto come “abbandono verso l’Altissimo” o “devozione verso Dio”.

Come si pratica Ishvarapranidhana?

Si può cominciare a praticare Ishvarapranidhana eseguendo preghiere formali o consacrando le proprie azioni. Perfezionando questo Niyama si svilupperà nel tempo un naturale orientamento della mente, del cuore e del respiro verso l'”Altissimo” in ogni momento della giornata.

Come agisce?

La pratica di Ishvarapranidhana purifica gli ultimi desideri rimasti e orienta il pensiero verso il divino, fino a che non esistono più ambizioni personali, se non l’aspirazione di essere tutt’uno con Dio. In una mente purificata dalla costante devozione tutto ciò che rimane è il desiderio di Unione con l’Assoluto, o, detto in altri termini, Yoga.

Articolo originale pubblicato il 13/04/’16, aggiornato il 21/08/’17.

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Gli Niyama sono il secondo degli ashtanga, gli 8 stadi dello yoga di Patanjali. Per essere un vero praticante dello yoga, ti devi sempre ricordare di...
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Nicoletta salvoni
Nicoletta salvoni
5 anni fa

Bella esposizione, interessante rileggere certi principi. GRAZIE!

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