
La dimensione spirituale dello hatha yoga
Quella luce che brilla al sommo dei cieli
al di là di tutte le cose, oltre l’universo,
oltre i mondi supremi e trascendenti,
questa luce in verità è dentro l’uomo quaggiù.
L’attuale visione dello hatha yoga spesso coincide con una lezione tipo composta da āsana, un po’ di prānāyāma magari l’intramontabile respiro a narici alternate e, forse, se si è molto fortunati, un momento brevissimo di ascolto in posizione seduta. Accanto al contesto dello hatha yoga, divenuto oramai sinonimo di sequenza di posizioni, c’è la pratica della meditazione, persone che si calmano dallo stress quotidiano.
Quindi, da una parte ci sono quelli che fanno hatha yoga che sono in salute, con i muscoli nelle braccia, snodati e che si puliscono il naso al mattino; dall’altra parte, i meditanti, di solito buddisti, che sono calmi e amorevoli verso il prossimo e ancora in un altro canto, gli intellettuali che studiano per capire. In mezzo, la folla che si disinteressa (spesso perché non sa) di ogni ricerca e si barcamena giorno per giorno credendo che la vita sia davvero solo (solo e non anche) quella: i litigi al lavoro, l’organizzazione famigliare, il grande amore, la casa, la salute, eccetera.
Spesso mi è capitato di incontrare insegnanti di yoga che, decisi a intraprendere una ricerca spirituale o di verità, si mettono a meditare ed i meditanti smettono di farlo quando il corpo si riempie di acciacchi e di flemma, e cominciano a “fare yoga”.


La storia dello yoga penso rispecchi la storia dell’essere umano, con le sue costanti correnti interne di separazione e di aspirazione alla completezza. Momenti di intuizione autentica, poi cadiamo e ci facciamo portare dai rivoli dell’ego. Le āsana da una parte, la meditazione dall’altra, la sessualità nel suo cantuccio, la spiritualità un po’ più in alto, la mente di qua e il corpo di là, la pratica e la vita e così via.
A colpi di restrizioni e repressioni, il diavolo si mette in mezzo, appunto separa.
Restare in ambiti più ristretti e separati crea un’apparente sicurezza perché sembri padroneggiare quell’ambito. Come allievo, praticante ed insegnante.

C’è una dimensione spirituale nello hatha yoga? Ma cosa significa “spirituale”?
Non c’è niente che possa dirsi in specifico spirituale, perché tutto in essenza lo è. Ciò che davvero cambia è la nostra visione, la relazione con noi stessi.
Non amo particolarmente la parola “spirituale” perché è carica di significati ambigui e confusi. Mi sembra che comporti una cesura nella realtà.
Dimensione spirituale: che cosa significa? Religiosa, divina?
I nostri sono tempi di ateismo e materialismo o una religiosità spenta e formale, la spinta mistica dei nostri bimbi resta inaccolta. Qualora non ci fosse una consapevole adesione ad un progetto spirituale o di ricerca di verità, chi mai rifiuterebbe una vita ed una relazione con se stessi autentica?
“La spiritualità è la ricerca dell’essere autentico che è dentro di te: io devo conoscere qual è la mia realtà. Una volta conosciuta, termina qualsiasi ricerca di esperienze. Non occorre più cercare qualche nuova avventura. Quando conosci la vera realtà interiore, l’essere autentico, cessa ogni ricerca”.
L’autenticità non ha un’altra casa, non esiste il paradiso. Ogni essere umano in quanto tale è un essere condizionato; non ci sono scorciatoie per incontrare l’incondizionato se non attraversare il mondo condizionato. Il primo mondo che un essere umano incontra è se stesso. Con la nostra nascita non nasce la vita, ma solo questa specifica vita portatrice di un karma antico.
La via tantrica, la via dello hatha yoga, insegna ad appagare consapevolmente le spinte karmiche perché lì sta latente la nostra stessa intimità.
Il complesso della nostra realtà è gravato dal peso della funzione mentale oggettivante, capace di rappresentare, dividere il soggetto dall’oggetto, calcolare, controllare e quindi di agire. È dunque gravato da una visione del corpo meccanica e consumistica.
La coscienza, cit, il soggetto, resta soffocata dall’identificazione con l’oggetto, con l’impermanente.
Il corpo è ciò che abbiamo di più vicino per costruire una relazione vera con la nostra dimensione interiore, una base per costruire una direzione spirituale. Con la pratica mettiamo ordine nella nostra interiorità, il corpo quindi non deve essere lo strumento della nostra mente bensì consentire una crescita interiore.

Lo hatha yoga si nutre dell’osservazione delle percezioni sensoriali che derivano dall’ascolto del nostro corpo per interrompere la verbalizzazione e la concettualizzazione, restare senza filtro. Nell’immobilità possiamo occuparci della coscienza, risvegliare voci sopite del complesso mentale, come la buddhi, forza intuitiva non razionale. Rimaniamo nella pratica osservatori partecipativi della vita non manifesta.
Non che diventiamo diversi da ciò che siamo o migliori di qualcun altro. La pratica dello hatha yoga non ci rende superuomini, rimaniamo nella nostra condizione precaria ed impermanente. La nostra vita continua a dipanarsi sui soliti binari. Ci ritroviamo così, con questa identità; l’ego è la manifestazione del nostro essere in vita, essere qualcuno. Non è il nemico, non ha senso reprimerlo, perché comunque gli effetti ci ritornano come un boomerang. Possiamo solo limitare i danni, se non ci è dato di evitare la sofferenza che ci deriva dai condizionamenti possiamo solo ridurre la sofferenza futura. Si tratta di scovare le voci significative nell’ego, attraverso l’ego stesso.
Abitudine ed evoluzione viaggiano in un equilibrio instabile.
Vediamo.
Cadiamo.
Ritroviamo l’orientamento.
Continuiamo a procedere.
“Ogni volta che perdiamo il cammino, ricordiamoci che la direzione è il risveglio della coscienza.”
Conviene praticare e restare pazientemente a vedere che cosa accade, se accadrà una trasformazione, se restando in cammino l’ego si dissolve da solo perdendo la sua forza.
Il cuore potrebbe inaspettatamente schiudersi ed aprire varchi di conoscenza di sé.
Ed è commovente che la Via dello yoga ti accolga come sei, nell’esatto punto energetico in cui ti trovi.
La propria sādhana personale acquisisce forza e senso proprio quando cresce sui propri limiti, quando quella è la sādhana giusta per me. Per dirla con le parole di Vimala Thakar, si tratta di costruire la sādhana sulla propria prigione.
Costruire passo dopo passo la propria trasformazione fino a che cresce lo spazio della dimensione interiore, lentamente le resistenze si assottigliano. La reattività usuale della mente razionale si placa, la verbalizzazione cede il posto alla forza dell’intuizione e della creatività. Pratica dopo pratica, ad ogni istante che dedico all’incontro con me stesso, l’idea che occorre fare per ottenere si allenta e ci ritroviamo a ricevere molto di più di quello che immaginiamo. Perché la nostra immaginazione è limitata, mentre il frutto della consapevolezza è la libertà.

Ci sembra che questa sia la nostra ricerca interiore, una realizzazione spirituale che dobbiamo raggiungere, qualcosa che noi cerchiamo. Non è la nostra realizzazione personale. Niente Barbara, mamma, insegnante di yoga, moglie, allieva, figlia, amica, rappresentante di classe… solo una coscienza che cerca di incontrare se stessa attraverso questo corpo, questa sacra vita.
“Riusciamo a capire cosa voglia dire la parola yogi? Coloro che praticano āsana e prānāyāma non possono essere chiamati yogi; coloro che hanno sviluppato determinati poteri utilizzando varie pratiche non possono essere chiamati yogi… Si diventa yogi quando il mondo materiale oggettivo, il ‘vedente’ e il ‘veduto’ si fondono l’uno con l’altro nella percezione, nell’azione e nella consapevolezza. Non vi è più divisione tra l’osservatore e ciò che è osservato, tra il soggetto e l’oggetto; la consapevolezza non duale è presente e da tutto ciò nascono la percezione e l’azione”.
Articolo originale del 28/11/16, aggiornato il 6/2/18
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La dimensione spirituale dello hatha yoga
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La spiritualità è la ricerca dell'essere autentico che è dentro di te: io devo conoscere qual è la mia realtà. Una volta conosciuta, termina qualsiasi ricerca di esperienze.
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Barbara Villa
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Il Giornale dello Yoga
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