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La Collera di Shiva

La Collera di Shiva

La spiritualità è strettamente connessa alla natura umana: ogni epoca e ogni civiltà hanno rifuggito l’idea di essere soli durante il cammino e hanno creduto, lodato e pregato nella gioia, nel timore, nel dolore.

L’idea del divino è stata espressione delle necessità e specchio delle vite e dei sentimenti esperiti dall’uomo. Nella mitologia delle religioni politeiste, i punti di contatto tra esseri superiori e umani erano frequenti tanto che le vite s’intrecciavano come se fossero imprescindibili le une dalle altre. Le emozioni, le passioni e i desideri spesso erano condivisi stringendo ulteriormente il moto empatico tra i due.

Con le religioni monoteiste si avverte un progressivo allontanamento tra umanità e divinità: la natura divina diviene qualcosa a cui ambire in quanto perfetta, pura e libera da ogni macchia, in contrasto con l’esigenza umana di sbagliare per correggersi. Viene troppo spesso dimenticata la compassione amorevole e il ruolo di guida della divinità che ci aiuta nell’individuare la strada da percorrere e viene valorizzata la distanza tra peccatore e giudice supremo.

Le divinità e l’induismo

Nonostante la pluralità di soggetti del pantheon induista, emblematica per qualunque credo è la figura di Krishna nella Bhagavadgītā. Qua l’essere superiore non s’impone nella sua potenza, determinando l’esito della battaglia, metafora dello scontro interno tra ego ed elevazione dell’eroe Arjuna. Non lo abbandona nella lotta aspettando il tempo per valutare le sue azioni e il suo operato, ma si pone al suo fianco senza prendere parte al conflitto. Rassicurandolo nei dubbi, incoraggiandolo quando la volontà di resa sembra avere il sopravvento, sostenendolo nel peso emotivo e psicologico che la battaglia che ha di fronte porta.

E come nel Canto del Divino, la mitologia induista ci concede esempi di comprensione, vicinanza e similitudine che inducono alla fiducia, base di qualunque relazione, presupposto fondamentale per poter essere sé stessi e per avere la serenità di riconoscere gli errori e vincere le debolezze.

 

La Collera di Shiva

La figura più controversa è innegabilmente quella di Shiva: divinità non convenzionale che rifugge la vita di società per isolarsi nella meditazione in cima alle montagne o nei cimiteri ricoperto dalla cenere dei morti. Consumatore di droghe e danzatore per puro piacere, rappresenta l’antitesi di colui che può preservare le regole della tradizione secondo re Daksha, padre della prima moglie della divinità. Ma molto più di questo, come ci ricorda Natarajasana, Shiva è il distruttore, colui danza alla fine di ogni era per incenerire, unicamente aprendo il terzo occhio, l’universo per poi ricrearlo; colui che balla sul demone Apasmara con i lunghi capelli sciolti nella natura estatica e selvaggia della danza e non teme nemmeno il veleno dei serpenti; colui che è racchiuso in un cerchio di dardi infuocati, simbolo del fuoco cosmico che tutto crea e tutto consuma, del cerchio ciclico delle ere che si succedono e di quello delle esistenze a ricordarci il destino di Samsara. Ma nell’apparente violenza della forza distruttrice, egli ci mostra Abhaya Mudra, il gesto del coraggio che sconfigge l’oscurità, la paura e l’ignoranza e, così facendo, apre Anahata Chakra, sede del cuore e dei timori, per mostrarci la fiducia che il praticante deve avere nella consapevolezza acquisita; sorride dominando il caos, essendo padrone di sé e del tutto come deve esserlo l’adepto che conosce la verità in mezzo alle avversità; ci mostra come il terzo occhio permette di vedere il trascendente incenerendo l’illusione che lo circonda. Il silenzioso messaggio di questa divinità ci trasmette che nell’equilibrio, nella forza e nell’apertura si trova la chiave per dominare le situazioni e la propria vita.

“Contemplando colui che non ha principio | o metà, né fine, l’Uno, l’onnipervadente, | che è intelletto e beatitudine, il senza forma, il meraviglioso, | la cui consorte è Umā, il Signore supremo, che tutto governa, | che ha tre occhi e la gola blu, il pacifico – il saggio silenzioso raggiunge la fonte dell’Essere, il testimone universale, sull’altra sponda della tenebra.”

Kaivalya Upaniṣad

Shiva, che proprio da uno dei suoi più grandi oppositori, viene infine definito “il buono e caritatevole” dopo aver subito la sua ira per mezzo del guerriero da lui creato, Virabhadra. Il già nominato padre di Sati, re Daksha, era contrario al matrimonio tra la figlia e questa divinità che, senza delicatezza, definì il “Dio delle bestie”. Nonostante la sua opposizione, i due si unirono e si rifugiarono sul Monte Kailash, mentre re meditava la vendetta: organizzò un grande evento, un rituale conosciuto col nome di Yagna, al quale invitò tutte le creature divine tranne la coppia.

Addolorata dalla situazione, Sati decise di presentarsi alla festa da sola ma il padre prima le negò il saluto e poi la ridicolizzò davanti a tutti. Colma di umiliazione, la dea rifiutò il corpo donatole dal padre e aumentando il fuoco interno, bruciò completamente.

Quando Shiva venne a conoscenza dell’accaduto, dopo le lacrime, fu preso dalla collera e scagliando una ciocca di capelli contro la terra, diede vita a Virabhadra per punire con violenza gli artefici della sua perdita: lo incaricò di andare allo Yagna per uccidere tutti, decapitare il re e berne il sangue. E’ così che nacquero le asana ispirate a questo eroe: risalì dal sottosuolo spingendosi verso la luce con la lama sopra la testa (Virabhadrasana I); sguainò le due spade identificando il bersaglio da colpire (Virabhadrasana II); affondò l’arma per decapitare il nemico (Virabhadrasana III).

Arrivato sul luogo della distruzione, Shiva riassorbì il guerriero in sé e davanti alla morte e alla distruzione, provò dolore e sconforto e mosso da compassione, riportò il suocero alla vita dandogli la testa di capra

Dove Vira rappresenta l’eroe, l’uomo impavido, le caratteristiche della forza maschile e del sacro fuoco rituale, Bhadra significa buono, benevolo, di buon auspicio, bello, felice, grandioso. Virabhadra rappresenta le due nature di Shiva: la temibile forza travolgente mossa dal legame indissolubile per Shakti, qui incarnata da Sati –  principio dell’energia divina, la sua polarità femminile, suo sinonimo (creatrice e distruttrice) e suo alter ego –  e il non attaccamento alle passioni e ai sentimenti che il cammino yogico, nei precetti di Yama e Nyama, ci insegna.

Shiva, nella sua natura solitaria e silenziosa, è colui che porta nel mondo l’insegnamento dello yoga dopo aver meditato 10.000 anni: la via dell’equilibrio, dell’armonia e dell’unità viene condivisa con la sposa Parvati sulle rive di un fiume dove, nell’ascolto del maestro, un pesce, raggiungendo l’illuminazione, si reincarna in Matsyendranath, che diffonde sulla terra gli insegnamenti del maestro, primo guru assoluto, divinità che, attraverso il suo dono, permette l’emancipazione e indica la strada verso la liberazione dall’ego  e dalle sofferenze ad esso legate.

“Signore di tutte le cose mobili e immobili, sempre Compassionevole e sempre Beato, il nettare la cui Misericordia abbonda come un grande oceano, la cui essenza è il puro Sattva Guna, Colui che è bianco come la canfora e come il fiore di gelsomino, l’Onnipresente Uno; Il cui vestito è lo spazio stesso, Signore dei poveri e l’amato Maestro di tutti gli yogi, la cui spirale di capelli ingarbugliati è bagnata con lo spruzzo di Ganga e (del suo nudo corpo) sono le ceneri l’unico ornamento, Colui che è senza passioni, dal collo inghirlandato con serpenti e teschi di uomini, il Signore dai tre occhi, Signore dei tre mondi, con una mano impugna il tridente e con l’altra dà benedizioni; facilmente appagato, la cui sostanza stessa è incondizionata conoscenza, Dispensatore di emancipazione eterna, il sempre-esistente, Senza paura, immutabile, Immacolato, L’uno senza difetto, il benefattore di tutti, e Dio di tutti gli Dei.”

 

Mahānirvāṇa Tantra

Circa l'autore

Lo yoga mi ha aiutata a ritrovare l’equilibrio, uno stato di benessere, la connessione con la parte più vera di me in un momento in cui ansia, stress e ritmi frenetici coronavano la mia vita. Da quella presa di coscienza e consapevolezza, lavoro con grande dedizione con l’intento di riportare il benessere emotivo nelle persone attraverso l’insegnamento di hatha e restorative yoga, meditazioni e percorsi di accompagnamento di counseling e coaching.

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