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Le forme dell’insegnare, le forme dell’apprendere

Le forme dell’insegnare, le forme dell’apprendere

Stare nella certezza dell’incertezza

Perché scrivo di yoga? Per sviscerare le conformazioni interiori che avverto emergere durante la pratica, e per potermene, allo stesso tempo, distaccare, e quindi osservare. Una volta scritte, infatti, queste impressioni diventano esterne, diventano uno specchio. La scrittura fa parte del mio modo di immergermi nello yoga, di vederlo, faustianamente, vivere di vita propria.

Creare, con le parole, delle forme; riprodurre phantasmata in grado di rispecchiare alcuni tra gli infiniti processi interiori che ci attraversano. Cosa c’è di più riposante che separare da sé costellazioni di impulsi per osservarli come se non ci appartenessero?

Parallelo a questo c’è, per me, l’insegnamento dello yoga, che è un altro ambito ancora. Se la scrittura è un’espressione che nasce da una solitudine fredda, assoluta, a volte rivoltante, l’insegnamento è per me lo spazio dell’incontro, della relazione. Entrambi hanno una cosa in comune: l’incertezza. Io non so mai cosa sto per scrivere; io non so mai dove mi condurrà l’insegnare. Nel tempo, le persone che sono venute a lezione da me mi hanno modellata, non solo in termini di esperienza, non solo nei riguardi delle parole da usare: mi hanno modellata profondamente nelle forme stesse dell’insegnamento. Avrei potuto essere meno permeabile? Forse no, forse è la mia natura. Qualcuno mi ha proposto di fare lezione camminando in pineta, qualcun altro di raggiungerlo a casa sua. Decidevo di non fare mai più lezione fuori dalla sala, ed ecco che mi trovavo di notte, in spiaggia, a lavorare sul pranayama. Pensavo che non avrei più fatto lezioni individuali, e subito dopo attraversavo la città, a piedi, per raggiungere qualcuno che non poteva venire da me. Tante volte ho pensato di non avere il polso fermo, di essere troppo incerta. Ma adesso so che essere modellabile fa parte del mio modo di insegnare.

È la relazione, e non il mero oggetto dell’insegnamento, a interessarmi. La relazione è uno spazio incontrollabile, entro cui le tecniche dello yoga si affinano, anche attraverso scontri, incertezze, ripensamenti.

Lo yoga lo fanno le persone, non i testi, non le tecniche. Le tecniche dello yoga sono come i tarocchi, sono strumenti di trasformazione che rimangono inerti, se non vengono vivificati.

Le tecniche dello yoga sono come i tarocchi

Creare forme di apprendimento ragionate

Il sentiero dello yoga andrebbe percorso tutto intero, sperimentato tutto, dall’inizio alla fine, fino alla realizzazione ultima. Che è la realizzazione dello yoga come sentiero, e mai la realizzazione dell’essere. L’essere umano, credo, non si realizza; piuttosto, si ricostruisce continuamente, e in questo ricostruirsi, trova una forma di estasi sporadica.

La realizzazione nello yoga non conduce, come si potrebbe pensare, al dominio definitivo delle emozioni, perché la vita è trasformazione, e non ci si trasforma se non a contatto costante con le emozioni che scaturiscono dall’inaspettato. Se per assurdo potessimo controllare, in ogni momento, le emozioni relative a ciò che ci accade, smetteremmo di cambiare; la struttura della nostra personalità, non più nutrita, si seccherebbe. Le emozioni sono un parametro vitale, tanto quanto il battito cardiaco.

Fare yoga non mette in standby sentimenti, emozioni, sofferenze. Nel migliore dei casi, una pace interiore standard dura meno di un secondo. Eppure lo yoga conserva intatto il suo valore, nel tempo, e non smette di trasportare il suo segreto.

Il segreto dello yoga è il separare. In tutte le cose, per fare chiarezza su un qualunque oggetto, all’inizio, bisogna separare, non unire. Per capire un qualunque fenomeno, bisogna analizzarlo, non sintetizzare. Pensare da subito allo yoga come all’unione di corpo, mente e spirito è un’espressione fuorviante, un modo di dire che conduce alla confusione, e che oltretutto non si accorda con il modo di operare proprio dello yoga: lo yoga fa ordine, non ammonticchia, e per farlo, isola alla percezione ogni singolo ambito dell’essere.

Ti sei mai chiesto, infatti, cos’è quel benessere che provi quando pratichi una postura yoga? Quel piacere è la sensazione viva, isolata, del corpo. E il pranayama? Non vuole forse farti percepire, in maniera separata, il flusso vitale che custodisci, usando come maestri i ritmo e il respiro? Non senti che le pratiche meditative sono pratiche senza corpo? E cos’è il pratyahara, se non il reame proprio del distacco?

Separare alla tua percezione singole costellazioni di te. Questo fa lo yoga.

Io partirei sempre da qui, per imparare lo yoga: catalogando stelle e costellazioni interiori.

Costellazioni Interiori

Unire, separare

Il termine unione, cui si deve l’origine della parola yoga, si riferisce allo scopo che lo yoga si prefigge di fare raggiungere all’adepto: afferrare finalmente il concetto di uniformità del praṇa contingente (ovvero, la sensazione tangibile del mio essere vivo nel tempo) con il prana inteso come puro principio del fluire.

E se il nostro soffio vitale è un oggetto finito, altrettanto non si può dire dello stesso soffio, liberato, sotto forma di pensiero e forze franche. Il pensiero è una vera forza eterna, e scorre, senza tempo, come un fiume infinito.

Allo stesso modo, l’insegnamento dello yoga fluisce, e viene trasmesso nel tempo, attraverso un processo di stimolazione a quella stessa visione che ha condotto i primi veggenti a non dubitare della sua certezza fertile.

Sebbene le tecniche siano descritte nei libri, il processo alchemico che conduce alla visione deve essere ogni volta ritrovato. Cosa separo? Cosa unisco? Una soluzione già tracciata non c’è. Personalmente, trovo che, se cerchiamo nello yoga una forma effettiva di consolazione dalle asperità della vita, lo si possa trovare più nella bellezza che residua da questa combustione, più che nell’applicazione delle tecniche tout court.

Processo Alchemico

Fare i maestri è un gioco

Fare i maestri di yoga significa, per me, scegliere un ruolo che permetta di apprendere insieme agli altri, ma a un ritmo più intenso. Non è che un ruolo come un altro, come quando i bambini giocano. Lo assumi se desideri assumerlo, con molta semplicità.

Insegnare yoga non ti pone su un piano diverso rispetto a qualunque allievo si presenti di fronte a te. Ciascuno impara per restituire ad altri nella misura in cui ha imparato, e continua a sua volta ad apprendere. La conoscenza non si deve impigliare nelle persone, bisogna sempre farla scorrere. I maestri non dovrebbero farsi scudo dei propri maestri, perché, quando si insegna, si può soltanto essere sé stessi e, per far parlare le tecniche, bisogna averci ragionato personalmente. Iniziazioni, rituali, cerimonie, discepolato, dinastie, nomi magici: niente ha valore di per sé: tutto deve risuonare in modo cristallino nella propria coscienza, molto semplicemente.

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Il Giornale dello Yoga
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Circa l'autore

Sono scrittrice, autrice e insegnante di yoga. Ho ideato il progetto originale Mìnera, scuola superiore di yoga online.

Con le edizioni Titivillus ho pubblicato Declinazioni yoga dell’immagine corporea (2011). Nel 2015 ho pubblicato La strada collettiva. (Il Vicolo Editore, Cesena).

I testi che scrivo spaziano tra argomenti che si situano tra la tecnica yogica e l’osservazione sensibile del reale.

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nadia
nadia
6 anni fa

Buonasera Francesca, “Spulciavo” a proposito degli “YS” in internet e mi sono piacevolmente imbattuta nei tuoi scritti: “Mi ci sento in sintonia : – ) “. Grazie per la generosa condivisione. Nadia.

Patrizia Leonardi
Patrizia Leonardi
6 anni fa

Articolo molto bello, descrive i processi dell’ apprendimento e dell’ insegnamento con grande raffinatezza espressiva. Interiore, vissuto. Mi è molto piaciuto.

Giuliana
Giuliana
6 anni fa

Quanto belle e vere sono le tue parole? “Fare yoga non mette in standby sentimenti, emozioni, sofferenze” Fare Yoga aiuta quel processo di analisi di cui parli, perché favorisce il (temporaneo) distacco da quelli, si che si possa poi esaminarli. Ed anche non esaminarli affatto, lasciare che fluiscano, lasciando ciò che deve rimanere e portando via ciò che non serve.
Questo articolo è un fertile spunto per la meditazione, grazie!
Namastè.

Francesca Proia
Francesca Proia
6 anni fa
Reply to  Giuliana

Grazie a te Giuliana! Ti abbraccio, Francesca

Nico Di Paolo
Nico Di Paolo
6 anni fa

Che bellezza!!! il centro delle tue parole è fluido, e nutre e viene nutrito come nettare, dalla saggezza pratica della visione profonda che, tutti i saggi e tu, vanno a condividere. Veramente belle le tue parole, mi ci specchio e ti ringrazio. Brava!!! Con gioia Nico.

Francesca Proia
Francesca Proia
6 anni fa
Reply to  Nico Di Paolo

Grazie infinite Nico, per aver espresso il tuo apprezzamento. Non lo do affatto per scontato e mi fa molto piacere.
Un abbraccio Francesca

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