
Desiderare o non desiderare, questo è il problema!
Avere obiettivi in linea con la propria vocazione più autentica non ha niente a che vedere con il continuo desiderare ciò che non si ha. Così come lasciare accadere senza metterci lo zampino dell’ego è ben differente dal chiedere all’universo pregando qualunque forma di dio o potere superiore si voglia pregare per vedere esaudito un certo desiderio. Una premessa di cui ho già parlato in Come chiedere all’universo per ottenere qualcosa.
Compilare liste di desideri, focalizzarsi continuamente su ciò che si vuole cambiare nella propria vita può avere un insidioso effetto collaterale: quello di disconnetterci dal momento presente, dalla perfezione (non vista, o quantomeno non accolta) di ciò che si ha (o meglio, che si è) nel qui e ora, di alimentare una sorta di escatologia del piacere delegando cioè a tempi migliori la propria gioia e perdendo di vista il terreno su cui si gioca la sfida delle nostre vere conquiste: il momento presente. Parafrasando il grande maestro, poeta e filosofo indiano Sri Aurobindo, non c’è niente di più straordinario del mondo ordinario. Voler cercare la felicità, il benessere o la realizzazione in un al di là spazio-temporale vuol dire riaffermare inesorabilmente un dualismo che separa là dove ci sarebbe da unificare (re-ligere).
“Essere, essere pienamente, è il fine della Natura in noi…
Ed essere pienamente vuol dire essere tutto ciò che esiste”
Ben lungi dal suggerire un atteggiamento di passiva ricettività rispetto a ciò che accade – cosa peraltro impossibile dal momento che tutto ciò che accade lo abbiamo creato noi, sognatori del nostro sogno (approfondisci in Perché i sogni non vanno interpretati) – si vuole piuttosto indurre la capacità di cogliere in ogni esperienza del quotidiano la motivazione profonda, invisibile, spirituale che ne sorregge la perfezione: se invece di voler cambiare a tutti i costi il corso delle cose ci si offre alla realtà con un atteggiamento interiore impeccabile, distaccato e gioioso insieme, i miracoli si compiono da soli. In assenza di sforzo personale. C’è una Forza inesauribile e instancabile che “lavora” per noi, se solo la si lascia fare (leggi anche: La magia del non fare).

“Il segreto della salute fisica e mentale non sta nel lamentarsi del passato, né nel preoccuparsi del futuro, ma nel vivere il momento presente con saggezza e serietà. La vita può avere luogo solo nel momento presente. Se lo perdiamo, perdiamo la vita. L’amore nel passato è solo memoria. Quello nel futuro è fantasia. Solo qui e ora possiamo amare veramente. Quando ti prendi cura di questo momento, ti prendi cura di tutto il tempo”.
Il silenzio mentale di sicuro può contribuire molto a favorire questo ardito slancio di consapevolezza che ci rende talmente liberi da non avere nemmeno più desideri (con buona pace del Buddha che proprio in questo vi aveva visto la salvezza definitiva, ma qui non si tratta nemmeno di essere più o meno salvi, casomai più vasti e integrali possibili…), il che non equivale a essere privi di motivazioni interiori o di passione e vitalità. Anzi, un’aspirazione simile a un fuoco (Agni) che brucia senza sosta in ogni anfratto del nostro essere sarà il carburante di un’ispirazione abbastanza forte a vivere fuori da ogni schema, pregiudizio, aspettativa e limite, che basterà a se stessa in ogni istante. Si sperimenterà sempre più chiaramente la preziosa differenza tra felicità e beatitudine, tra appagamenti momentanei causati da oggetti, persone, situazioni esterne che solleticano vanità sensoriali o curiosità intellettuali e l’Ananda, un flusso ininterrotto e inesauribile di gioia che sgorga prolifico da dentro di noi senza aggrapparsi a niente per poter esistere. Che gode di tutto senza attaccarsi a nulla. Gli yogin del misticismo tantrico tibetano ne parlavano come di un “piacere immoto”, quel piacere, appunto, che non dipende da alcuna causa esterna. Un flusso ininterrotto, dicevamo, che sgorga da dentro sì, ma anche da fuori, da sopra, da sotto, insomma da Ovunque, perché realizzandoci come pura gioia di esistenza cosciente semplicemente viviamo in ogni cosa e ogni cosa vive in noi. (Leggi anche: Non importa quello che farò ma chi sono ora)

“Colui che non è riuscito
a ottenere il piacere che non fluisce via,
cerca infelice un piacere che fluisce via”
L’Advaita Vedanta aveva egregiamente racchiuso in tre parole il senso di questo grande Segreto: Sat Cit Ananda (Esistenza, Coscienza, Beatitudine: gioia è coscienza di esistere e questa gioia – a cui si può dare il nome di dio, anima, spirito – è immanente)… Qualcosa che poi si è perso per strada (… o meglio, nei templi e nelle chiese) alla fine dell’età dei Misteri che ha tolto il sacro dalla vita materiale, dalla Natura e dal momento presente per relegarlo a un al di là metafisico dove, forse, goderne le gioie non prima di aver superato le prove di un “giudizio universale” emesso da un Essere trascendente, persino temibile, anni luce lontano da noi, semirraggiungibile se non del tutto… Tra l’altro non c’è niente di più controintuitivo e fuorviante dell’immagine di un dio che giudica, punisce o loda. L’amore accoglie, senza condizioni. L’amore non può fare a meno di amare. E basta. Ogni creazione scaturisce da un atto di amore, l’universo è amore, darsi è il compimento divino dell’uomo su questa terra, darsi per la gioia della coscienza di esistere.
“E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante
cancella col coraggio quella supplica dagli occhi
troppo spesso la saggezza è solamente
la prudenza più stagnante
e quasi sempre dietro la collina il sole.”
Chi ama intensamente non desidera altro che rimanere il più a lungo possibile in comunione con il suo amato/a, non ha bisogno di cambiarlo, tantomeno di possederlo, gode della sua semplice esistenza. E se questo amato/a diventasse la vita intera? Una insopprimibile coscienza che non allude mai al domani perché in ogni istante compie il sacrificio (sacrum facere) di se stessa, cioè esistere gioiosamente? Un continuo rituale che trasforma qualsiasi desiderio o mancanza in un potenziale creativo volto alla celebrazione del puro darsi?
Perché la Gioia è il cuore del mondo, sta al fondo delle cose, è “il pozzo di miele coperto dalla roccia”.
Tutto ciò che è (non che sarà o che vorremmo che fosse…) diventa, allora, perfetto. Perché lo è. Perfetto di una perfezione che è sinonimo di vastità, totalità, integrità e non più di bontà, giustizia, santità. Perché la perfezione di una vita divinamente ispirata sulla terra non ha niente a che vedere con i criteri di qualsiasi morale stereotipata. Ed ecco, dunque – riprendendo le parole di un altro mio articolo – che “non tutto ciò che accade è necessariamente docile, clemente, “pacifico” e rassicurante, può apparire anzi tremendo, crudele e alla prima incomprensibile. Incomprensibile agli occhi della mente razionale che giudica. In natura non esiste giudizio, ma una necessità spietata che si attua nel seguire irreversibilmente il ritmo della Bellezza dove per Bellezza si intende la spinta evolutiva a darsi, il coraggio di svanire, di non attaccarsi alle cose e al mondo fenomenico riconoscendone la sostanziale immaterialità e inconsistenza”. (Per approfondire puoi leggere: Scoprire la missione della propria vita: giustizia naturale versus giustizia sociale)

In risonanza con l’acuta visione e visionarietà di Sri Aurobindo, il padre dello yoga integrale, conviene ricordare, o quantomeno far risuonare il più potentemente possibile nelle nostre cellule che, se è vero che esiste una spinta all’evoluzione naturale spontanea e intrinseca alla vita stessa, scopo di tale evoluzione per gli esseri umani incarnati viventi su questa Terra non è quello di diventare più buoni, saggi o “illuminati”, ma più integrali e coscienti. E possibilmente di realizzarlo, appunto, su questa Terra, nella vita di tutti i giorni in tutte le situazioni possibili, senza crogiolarsi troppo a lungo in beatitudini cosmiche o altitudini trascendentali che isolano dal mondo o, alla meno peggio, lo snobbano in nome di un non meno subdolo illusionismo spirituale (il mondo materiale è un’illusione, esiste solo lo spirito al quale voglio tornare, dunque, che me ne faccio del mondo?). Qui non si tratta di passare da un polo all’altro (spirito, mondo, materia, anima, vitale, mente, fisico, trascendente, immanente, cosmico, universale… ) ma di inglobare tutto portando alle estreme conseguenze la coscienza stessa: un balzo che spetta a chiunque scelga, appunto, di creare oltre se stesso, andando oltre ogni separazione di sorta, assiduamente motivato nient’altro che da questa volontà di azione “supercosciente”. L’unico desiderio per cui valga veramente la pena vivere, anzi … da cui si inizia a vivere veramente. Approfondisci qui: Yoga Integrale – Come fare quando va tutto male: il significato delle “contrarietà”
Non dite:
“Ho diritto, mi manca, richiedo, esigo,
ho bisogno della tal cosa, perché non mi viene concessa?
Ci si deve invece dare, abbandonare,
si deve ricevere con gioia tutto quello che ci viene dal Divino,
senza affliggersi né ribellarsi.
È l’atteggiamento migliore.
Allora riceverete
ciò di cui avete veramente bisogno”.
Consigli di lettura
Selene Calloni Williams, Iniziazione allo Yoga Sciamanico
Satprem, Sri Aurobindo e l’avventura della coscienza
Jon Kabat-Zinn, Dovunque tu vada, ci sei già
Sri Aurobindo, La vita divina
Eckhart Tolle, Il potere di Adesso
Naropa, Iniziazione (Kalacakra)
Se ti è piaciuto questo articolo potrebbero interessarti anche:
Yoga e donne: la forza segreta del corpo femminile
Sei depresso o sei sul cammino spirituale?
Shanka Prakshalana: la conchiglia lucente
Summary

Article Name
Desiderare o non desiderare, questo è il problema!
Description
Chi ama intensamente non desidera altro che rimanere il più a lungo possibile in comunione con il suo amato/a, non ha bisogno di cambiarlo, tantomeno di possederlo, gode della sua semplice esistenza.
Author
Cecilia Martino
Publisher Name
Il Giornale dello Yoga
Publisher Logo
