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Il cammino del Karma Yoga

Il cammino del Karma Yoga

Sono in viaggio da due mesi. Ma non sono partita per scoprire il mondo. Sono partita per venire ad aiutare un’amica in Australia che ha appena avuto i suoi primi due figli, gemelli. Hanno 4 mesi e come tutti gli esseri umani di 4 mesi non sanno fare niente da soli se non respirare, piangere, poppare e fare i loro bisogni.

Dopo un mese con lei, visto che c’ero, ho deciso di rimanere in Australia un po’ più a lungo e andare a fare del volontariato in un centro yoga. Pensavo che avrei insegnato yoga e lavato i piatti, ma mi sono ritrovata a prendermi cura della fondatrice del centro, Swami Sarasvati, una signora indiana che negli anni ‘70 ha portato lo yoga in Australia partecipando a programmi televisivi e pubblicando libri. Oggi ha 78 anni e soffre di demenza senile piuttosto grave, e all’incirca richiede le stesse cure dei bambini, ma almeno non piange (il che toglie molto stress). E così, senza pensarci, mi sono ritrovata nel bel mezzo del cammino del karma yoga.

Il cammino del Karma Yoga

Insieme alle altre forme dello yoga (Raja Yoga, Bhakti Yoga, Jnana Yoga, Kriya Yoga), il karma yoga è una pratica che porta al fine ultimo dello yoga: la dis-identificazione con il falso ego, la crescita spirituale, la realizzazione dell’unione con l’assoluto/divino. A distanza di due mesi posso dire che questa esperienza mi ha cambiato più profondamente a livello spirituale di questi ultimi tre anni passati a studiare lo yoga, insegnare lo yoga, partecipare incontri e il mio recente viaggio in India. Certo, questa esperienza si somma a tutto e probabilmente non sarebbe stata possibile senza tutto il resto prima. Ma non mi sarei certo aspettata che la pratica di questo tipo do yoga potesse essere così potente.

Il termine “karma” in sanscrito si traduce come “azione”. Il karma yoga è quindi lo yoga delle azioni. E queste azioni devono essere fini a se stesse. O meglio, il fine è solo quello di donare all’universo e di celebrare il divino. All’interno di questo concetto si racchiude l’agire senza attaccamento verso il risultato (vairagya) e senza aspettarsi niente in cambio. In sanscrito, così ho imparato, questo concetto si chiama seva: il saper mettere da parte il proprio ego ed agire senza volere niente in cambio. Cito la Bhagavad Gita qua – con traduzione mia dall’inglese-

“Metti il cuore in quello che fai, senza aspettarti una ricompensa. Compi il tuo lavoro secondo il cammino yogico, libero dai desideri dell’ego. Non essere mosso da successo o fallimento. Ti compete soltanto l’agire, non i suoi frutti: non sia il frutto delle azioni il motivo dell’agire”

Bhagavad Gita

Per quanto questo concetto sia estraneo alla nostra società, questa pratica aggiunge molto valore alla propria pratica spirituale e anche alla propria crescita personale. Agire senza avere un doppio fine – aiutare gli altri per esempio, senza avere un doppio fine o senza neanche aspettarsi in cambio della gratitudine – è un incredibile percorso di superamento dell’ego! Basta provare a fare qualsiasi cosa per gli altri per renderci conto quanto siamo attaccati al ricevere un qualche tipo di “ricompensa” per quello che facciamo, sia anche solo un grazie. Quando non riceviamo niente in cambio per le nostre azioni ci sentiamo immediatamente offesi nell’orgoglio o non valorizzati, corriamo ai ripari categorizzando la persona come “irriconoscente”.

Mettere da parte l’ego

Nell’atto di dedicarsi veramente all’altro, è implicato il processo di mettere da parte i desideri del proprio ego momentaneamente. Ed è qualcosa a cui siamo poco abituati. Nella nostra vita moderna possiamo permetterci quasi tutto quello che vogliamo: un caffè nel nostro bar preferito, una passeggiata, un maglione nuovo. Se provate a passare del tempo servendo gli altri per un periodo un po’ più lungo di una settimana, inizierete quella vocina nella testa che ti dice: sto perdendo la mia indipendenza, dove è finito il tempo per fare quello che voglio io? E sei tentato di lasciar perdere il karma yoga e tornare alla tua vita quotidiana, incentrata sul tuo ego. Ecco, in quel momento prova a resistere. All’inizio non è facile e fa innervosire. Sembra che tutto quello che sei abituato a fare non sia più disponibile e vuoi reclamarlo. Ed è il tuo ego! Abituato ad avere tutto – o quasi –  quello che gli va. Poi ti abbandoni al servizio dell’altro. Quando l’agire senza essere mosso da un fine diventa la quotidianità inizi a sentire il cambiamento dentro di te. E dopo un po’, ti ritrovi a sentire una gratitudine profonda per le persone che stai aiutando. Un senso di liberazione ti pervade e ti rendi conto che quando ti dimentichi i tuoi problemi perché ti occupi dei problemi altrui, la tua vita diventa meno problematica, perché i crucci che in realtà non sono tali scompaiono. Ogni azione senza aspettativa diventa un’incredibile opportunità di crescita e ti ritrovi ad essere grato/a tu, per l’occasione che gli altri ti hanno dato di scoprire qualcosa di nuovo di te stesso/a.

Come praticare il Karma Yoga

Nella vita di ogni giorno – e soprattutto nella nostra società legata al profitto e dipendente dai soldi  – sembra impossibile praticare il karma yoga. Secondo me, non è affatto incompatibile con le nostre abitudini e potete provare in due modi molto semplici.

Non attaccamento

Il primo, focalizzato sulla pratica del vairagya (non attaccamento): provare a portare a termine uno dei vostri compiti senza però essere attaccati all’idea del risultato, ma concentrandosi principalmente sul processo. Esempio: studiare per un esame all’università non per prendere un buon voto, ma semplicemente fare del proprio meglio per prepararsi. Oppure: rispettare una scadenza a lavoro e portare a termine il compito non perchè altrimenti il capo non si fiderà o ci penalizzerà in futuro, ma fare quello che ci siamo presi l’impegno di fare in tempo e al meglio delle proprie possibilità perché è nostro compito farlo. E qualsiasi cosa stiate facendo, focalizzatevi sul processo e non sul risultato. In questo modo, potete iniziare a praticare il distacco dai frutti delle vostre azioni. Ciò non significa certo non dare il meglio di sé, ma farlo senza l’attaccamento verso quello che raggiungeremo.

Distacco dall’ego

Il secondo – e vero e proprio modo  – di praticare il karma yoga è iniziare a fare piccole azioni per gli altri,  per la natura, per gli animali, o qualsiasi cosa non siate voi stessi, senza aspettarsi assolutamente niente in cambio e senza che la nostra azione ci porti il benché minimo beneficio. Esempio: trovare un progetto di volontariato semplice al quale poter contribuire, annaffiare le piante o l’orto di qualcun altro, aiutare qualcuno a fare un trasloco, raccogliere e buttare in un cestino la spazzatura che altri hanno lasciato nella natura o negli spazi pubblici. Piccoli gesti di questo genere, da fare senza pensare che “così possiamo considerarci brave persone”, perchè in quel modo ci stiamo ancora concentrando sull’ego.

Immaginate di fare queste cose come regalo all’universo e nient’altro! È un esercizio che richiede impegno, ma scoprirete che tutto ha un sapore diverso!

 

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Il cammino del karma yoga è una parte imoprtante del percorso yogico. Distacco dal proprio ego e non-attaccamento verso il risultato delle azioni...
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Il Giornale Dello Yoga
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